Il Capitalismo ora vuole cancellare le identità sessuali
Abolire l’uomo from fabrizio napoleoni on Vimeo.
A partire dal minuto 3:34 la tizia nel video, convinta (la qual cosa è ancora più grave.) di rappresentare il Processo Rivoluzionario di Liberazione Universale e le sue sorti magnifiche e progressive, pronuncia le testuali parole:
“Noel Ignatiev, l’autore di “Come l’irlandese divenne bianco”, ha suggerito di abolire la razza bianca, definita come privilegio maschile e identità di razza. In modo simile, la classe sessuale degli uomini è semplicemente privilegio maschile e identità di genere e deve essere abolita se le donne vorranno essere mai libere”. “Non otterremo mai giustizia per le donne – prosegue – fino a quando non smantelleremo il sistema di casta chiamato genere. La libertà e un pianeta vivibile saranno raggiunti solo quando la mascolinità, la sua religione, la sua economia, la sua psicologia, il suo sesso saranno fronteggiati e finalmente sconfitti”.
Questa donna incarna alla perfezione l’ideologia femminista/genderista che individua nel genere maschile, nella sua totalità, il nemico da abbattere. La storia viene così riscritta di sana pianta e reinterpretata alla luce del nuovo Verbo.
Non bisogna farsi ingannare da quello che è il cavallo di troia dell’ideologia femminista, e cioè il cosiddetto “copia-incolla” della dialettica hegelo-marxiana, con il quale il conflitto fra i sessi viene sostituito a quello di classe. Anzi, i due concetti vengono sovrapposti, per cui abbiamo il maschile identificato come genere sessuale e contestualmente come “classe” dominante e il femminile come genere sessuale e altrettanto contestualmente come “classe” dominata.
La storia del genere maschile viene così ridotta ad una sorta di museo degli orrori e di ogni forma di abominio. Tutto ciò che gli uomini avrebbero fatto nel corso della storia, quindi anche le grandi rivoluzioni, le grandi lotte per l’emancipazione umana, i diritti, la libertà, la democrazia, l’eguaglianza, il socialismo che li hanno visti protagonisti, e poi il lavoro disumano, lo sfruttamento e le immense sofferenze a cui sono stati sottoposti, così come le scoperte scientifiche, la produzione filosofica e letteraria, l’arte (per non parlare delle religioni), sarebbe stato fatto con il proposito di opprimere le donne.
Questa è l’operazione filosofica/ideologica che sta alle fondamenta del femminismo in tutte le sue correnti e sottocorrenti, nessuna esclusa. La criminalizzazione del maschile è ciò che accomuna tutte le diverse determinazioni del femminismo, oggi declinato nella sua versione ancora più aggressiva, che è quella detta appunto delgenderismo. Questa ideologia sostiene che per superare le contraddizioni che da sempre hanno generato tanta ingiustizia sociale e umana, è necessario distruggere il concetto stesso di identità sessuale, che è la forma malcelata e “politicamente corretta” per sostenere quello che quella femminista nel video ha invece dichiarato apertamente, e cioè che “l’identità maschile deve essere superata e abolita”.
Né potrebbe essere altrimenti nel momento in cui proprio quest’ultima viene individuata, in sé e per sé, ci verrebbe da dire, come responsabile dell’oppressione tout court dell’altra metà del genere umano, al punto tale che diventa pressoché impossibile arrivare a distinguere fra il piano culturale e quello naturale, fra cause cioè di ordine storico-culturale o viceversa di natura ontologica che avrebbero determinato quella stessa oppressione. L’ideologia femminista si difende dall’accusa di sessismo sostenendo la prima ipotesi, ma noi sappiamo che è impossibile separare nettamente natura e cultura perché esse coesistono da sempre, fin da quando i primi ominidi hanno cominciato a scendere dagli alberi e a camminare eretti.
Individuare quindi il genere maschile come l’artefice di ogni forma di sfruttamento e di oppressione che abbiano mai fatto la comparsa sul pianeta, è un’operazione intrinsecamente razzista, sessista e ovviamente anche interclassista (cioè l’esatto contrario del concetto di classe), nel momento in cui non solo l’intero genere maschile (a prescindere dalle condizioni sociali, economiche, ambientali, culturali ecc.), ma la stessa identità maschile viene individuata come causa prima, formale ed efficiente di tutto ciò. E’ quindi evidente come siamo ben oltre l’aspetto meramente storico e culturale -nel momento stesso in cui si parla di identità sessuale -e come siamo entrati nella sfera ontologica.
A cosa sia funzionale questo processo è, a parere di chi scrive, molto chiaro, anche se a molti/e potrà sembrare fantapolitica se non addirittura il delirio di uno che ha perso il contatto con la realtà. Ma questo è il prezzo che deve accettare di pagare chiunque si decida adesplorare territori ai più sconosciuti (per la stragrande maggioranza della popolazione, per la verità, perché i veri “padroni del vapore” li conoscono benissimo .).
La mia opinione è che siamo di fronte ad uno stupefacente salto di qualità del (dominio del) Capitale e della Tecnica: i due sono al momento del tutto sovrapposti e identificati e trovano la sintesi e la loro determinazione storica in quella che possiamo definire con il termine di Società Industriale Avanzata (SIA), cioè quella nella quale ci troviamo a vivere in questa determinata fase storica.
Il sistema capitalistico dominante.
La cosiddetta “società liquida” (per dirla con Bauman) neocapitalistica postmoderna ha necessità di individui “non sociali”(parafrasando invece il celebre libro del compianto Pietro Barcellona), ridotti ad una sorta di monadi incapaci di relazionarsi fra loro se non attraverso la forma alienata e alienante dello scambio mercantile.
Qualsiasi altra istanza o soggettività che non sia funzionale a questo “progetto”, cioè sostanzialmente al flusso ininterrotto e illimitato della forma merce, cioè dell’unica forma di “auctoritas” morale oggi di fatto (al di là delle liturgie formali e ideologiche del tutto artificiose, cioè della produzione della marxiana falsa coscienza socialmente necessaria) consentita, deve essere rimossa.
Da qui la tendenza (in atto) finalizzata alla cancellazione o quanto meno al sostanziale indebolimento di ogni identità, a partire proprio dall’identità sessuale. La qual cosa non è ovviamente casuale;cosa esiste infatti di più potente e di più naturale dell’identità sessuale, dell’appartenenza al proprio sesso, prima ancora dell’appartenenza sociale, etnica o culturale? Ecco, dunque, per il capitalismo, giunto al suo stadio apicale (per lo meno per ora, non siamo in grado di conoscere la sua eventuale e anche altamente probabile e ulteriore espansione, specie perché in stretta comunione con la Tecnica, ossia la sua più potente alleata), la necessità diintervenire non solo sul piano sociale tradizionale ma addirittura su quello antropologico e genetico.
Il neofemminismo/genderismo, uno dei mattoni fondamentali dell’ideologia cosiddetta del “politicamente corretto” (cioè la nuova ideologia del Capitale, brillantemente individuata e messa sotto le lenti di ingrandimento da un altro autorevole pensatore di recente scomparso, Costanzo Preve) è il grimaldello, che si sta rivelando assai efficace per la verità, per disarticolare quelle identità, o meglio, per disarticolare l’identità maschile e le sue derivazioni, a partire dal “paterno”, concettualmente e non solo biologicamente inteso.
Il paterno – come spiega in modo infinitamente più brillante e dettagliato rispetto a quanto non possa fare il sottoscritto in brevissimi cenni – Erich Neumann, nel suo “Storia delle origini della coscienza”, rappresenta l’irruzione nell’Uroboros dell’io nel non-io, del distinto nell’indistinto, del limite nell’illimitato, della “forma” nella/sulla materia. Senza questa irruzione, senza questo metaforico ma anche sostanziale strappo, l’individuo (inteso come persona) non potrà mai costituirsi in quanto tale, nella sua autonomia e consapevolezza. Egli resterà sempre un soggetto privo di una sostanziale identità, fluttuante nel metaforico “brodo” di cui sopra, incapace cioè di definirsi come uomo o come donna (anche se il problema, per ovvie ragioni, riguarda oggi prevalentemente gli uomini) nel mondo. Da qui l’attacco sfrenato al paterno e al maschile, dove paterno sta per patriarcato e maschile per maschilismo; non sono ammesse altre interpretazioni.
Del resto, la “società liquida” così puntualmente descritta da Bauman è la società della mercificazione totale e assoluta dell’ente umano e per questo ha necessità, come dicevamo, di eliminare qualsiasi forma di “auctoritas” che non sia direttamente o indirettamente ricollegabile alla riproduzione in linea teorica illimitata di quel metaforico “Uroboros” costituito dalla “forma merce”. Ergo, non ha più nessun senso continuare a sostenere che l’attuale società capitalistica sia dominata dalla cultura patriarcale. Sostenere una simile tesi equivale a sostenere che l’attuale crisi economica è dovuta ai rapporti di produzione feudale, alla mancata privatizzazione delle terre incolte e alla rendita fondiaria.
L’attacco al maschile e al paterno, ovviamente ben camuffato sotto le spoglie della “Liberazione della donna”, propedeutica alla Liberazione Universale dell’intera Umanità, deve quindi essere ricompreso all’interno di questo processo che vede il Capitale (e la Tecnica), in tutte le loro (complesse) determinazioni, occupare ogni spazio dell’umano.
L’operazione – non c’è alcun dubbio – sta per ora perfettamente riuscendo, e lo dimostra il fatto che il paziente non è ancora morto ma rischia seriamente di morire (per lo meno da un punto di vista psichico, che è ciò che interessa). D’altronde la capacità pervasiva di questo processo ha raggiunto vette che era difficile immaginare fino a qualche tempo fa. Quella che definisco da tempo come “psicosfera“, o meglio la sfera psichica intersoggettiva, cioè la nuova “struttura”, marxianamente parlando, che si aggiunge alla vecchia, è stata completamente invasa.
Siamo però consapevoli che per quanti sforzi si possano fare, esiste ed esisterà sempre, perché è parte dell’umano, un margine di irriducibilità nei confronti di qualsiasi tentativo di coercizione più o meno violenta e pervasiva dell’ente umano stesso, e anche la più sofisticata delle ingegnerie sociali e antropologico-genetiche (e quella posta in essere dal sistema capitalistico attualmente dominante sicuramente lo è) creerà la sua contraddizione.
Questa è una vecchia storia. Vera. Perchè moltissimi uomini ogni giorno lottano (e perdono) contro un sistema sessista e annichilente. Da tempo ne parlo, denuncio, ma come al solito sono gli uomini stessi, in puro stile “sindrome di Stoccolma”, a rigettare questa situazione e a difendere le loro carnefici. Sarà che molti credono che il Grande Mazinga pioverà dal cielo a salvarli e a sistemare tutto ? Boh!
🙂
Per una volta, anziché commentare il fatto della settimana, vorrei segnalare un libro che merita di essere letto: non necessariamente sotto l’ombrellone, dato che si tratta di un testo impegnativo, che tocca temi di profonda attualità, peraltro di solito gestiti univocamente dal pensiero unico politicamente corretto e dalla fabbrica dei consensi. È lo splendido testo di Enrica Perucchetti e Gianluca Marletta, Unisex. La creazione dell’uomo “senza identità” (Arianna, Bologna 2014).
Tutti dovrebbero leggerlo, per chiarirsi le idee intorno a uno dei problemi del nostro presente che vengono puntualmente presentati dal clero giornalistico e dal circo mediatico, gestori unici del “si dice” di heideggeriana memoria: l’orrida ideologia gender, in nome della quale non esisterebbero più maschi e femmine, ma un pulviscolo anonimo e senza nessi comunitari di individui atomistici unisex. In accordo con l’ideologia gender (da qualche tempo insegnata anche nelle scuole), uomini e donne non esisterebbe per natura, ma sarebbero (sic!) un prodotto sociale. Come ben argomentato da Enrica Perucchetti e Gianluca Marletta, si sta oggi diffondendo su scala planetaria l’immagine di un essere umano ibrido, manipolabile infinitamente, puramente funzionale al rito del consumo e dello scambio di merci. A tal punto che sempre più spesso il semplice presupporre l’esistenza di sessi differenti viene visto come atteggiamento discriminatorio.
“Omofobia” è l’etichetta in voga con cui si mette a tacere chi osa ancora pensare che esistano uomini e donne e che, pur essendo infiniti gli orientamenti sessuali, due soltanto siano i sessi esistenti. Condannati come omofobici, infatti, non sono soltanto coloro che usano violenza (in questo caso, naturalmente, è giusta la piena condanna dei violenti, come del resto è giusto condannare e punire ogni violenza), ma anche quanti pensano che, come poc’anzi dicevo, per natura i sessi esistenti siano due.
Come efficacemente mostrato da Perucchetti e Marletta, l’ideologia mondialista gender mira alla creazione e all’esportazione di un nuovo modello antropologico, pienamente funzionale al capitalismo dilagante: l’individuo senza identità, isolato, infinitamente manipolabile, senza spessore culturale, puro prodotto delle strategie della manipolazione. L’ideologia mondialista gender – appoggiata da tutti i poteri forti – fa ampio uso della “rielaborazione del linguaggio comune” (p. 24): non si può più dire sesso, ma solo genere; non si può più dire padre e madre, ma genitore 1 e 2, ecc. Orwellianamente, la creazione della neolingua è funzionale alla desertificazione del pensiero e alla possibilità di immaginare realtà altre rispetto a quella propagandata urbi et orbi dall’ordine simbolico dominante.
Il libro merita davvero di essere letto e meditato, discusso ed esplorato in tutte le sue pagine: è una vibrante e appassionata denuncia dell’ideologia mondialista gender; una denuncia che si inscrive idealmente in una più ampia denuncia degli errori e degli orrori del capitalismo finanziario globalizzato.
La famiglia odierna, quando ancora esista, è disordinata e stratificata, priva di un nucleo e strutturata secondo le forme più eteroclite: dalle gravidanze affidate a una persona esterna alla coppia alle adozioni nelle coppie omosessuali, dalle separazioni sempre crescenti all’inseminazione artificiale. Il fanatismo economico aspira a distruggere la famiglia, giacché essa – Aristotele docet – costituisce la prima forma di comunità ed è la prova che suffraga l’essenza naturaliter comunitaria dell’uomo. Il capitale vuole vedere ovunque atomi di consumo, annientando ogni forma di comunità solidale estranea al nesso mercantile. L’ideologia gender si inscrive appunto in questa dinamica.
http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/ideologia-unisex-17782.html
Giacinto Auriti – 1° Novembre 1972
L’occulta strategia della guerra – pag.38 https://www.facebook.com/losai.eu/photos/a.526143477425573.117421.126393880733870/837180212988563/?type=1&theater
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http://www.lintellettualedissidente.it/editoriale/svirilizzati-e-femminilizzati-loccidente-denunciato-da-eric-zemmour/
Svirilizzati e femminilizzati. L’Occidente denunciato da Eric Zemmour
Ebreo francese di origine algerina, patriota, simbolo del politicamente scorretto, opinionista di Le Figaro e animatore di trasmissioni radiofoniche (in Italia Piemme ha pubblicato il suo “L’uomo maschio”, critica della società “femminilizzata”) Zemmour è già stato definito Oltralpe l’uomo del 2014 dopo l’uscita del suo ultimo saggio Le suicide français (Il suicidio francese). Il suo motto? “La reazione è oggi sovversiva”.
DI SEBASTIANO CAPUTO – 16 FEBBRAIO 2015
Anche il mondo dell’editoria, come quello del giornalismo, è diventato un tempio di mercanti. Si stravolgono persino le tesi degli autori pur di trafficare libri e fare profitto. È il caso della casa editrice Piemme che poche settimane fa ha ri-editato L’uomo maschio, di cui era già editore, titolandolo questa volta Sii sottomesso. La virilità perduta che ci consegna all’Islam. Una mossa studiata a tavolino per affiancare in tutte le vetrine d’Italia questo “bestseller” scritto da Eric Zemmour nel 2005 (in Francia ha venduto oltre 100mila copie) al romanzo mal interpretato dall’intera vulgata giornalistica “Sottomissione” di Michel Houellebecq. Inserire la parola “Islam”, intesa come “islamizzazione”, nel sottotitolo non solo inserisce scorrettamente il pamphlet nella pubblicistica fallaciana dello “scontro di civiltà”, ma soprattutto devia la tesi globale manifestata dal giornalista francese.
L’uomo maschio è in realtà un trattato contro l’Occidente: femminilizzato e svirilizzato. “La società unanime sta domandando agli uomini di rivelare la femminilità che è in loro. Con sospetta, morbosa e stupefacente buona volontà gli uomini stanno facendo del loro meglio per mettere in atto questo programma ambizioso: diventare una donna come le altre. In sostanza per superare i propri istinti arcaici. La donna non è più un sesso, è un ideale”, scrive Zemmour. L’editorialista di Le Figaro identifica come responsabili di questa metamorfosi antropologica e societale l’alleanza post-sessantina tra femministe e lobby omosessuale con la complicità di multinazionali, definite “la quintessenza del capitalismo”, e mondo dello show-business il quale offre alle nuove generazioni modelli culturali profondamente degenerati, dai calciatori svirilizzati alle modelle anoressiche.
Il progressivo smantellamento di una società patriarcale ha prodotto una donna mascolinizzata e un uomo svrilizzato, dunque femminilizzato, perfettamente interscambiabili tra loro. Se prima infatti le rivendicazioni sull’uguaglianza dei sessi erano di carattere giuridico ed economico, di conseguenza ragionevoli e legittime, queste sono diventate di carattere antropologico. Sembrerebbe così disegnarsi all’orizzonte una figura nuova: l’essere umano unisex. Perché dove c’è convergenza delle identità sessuali c’è di conseguenza annullamento. Il maschile e il femminile si cancellano a vantaggio di un ibrido modello androgino in una società artificiale e post-umana. Lo stesso Alain De Benoist ne La femminilizzazione dell’Occidente aveva scritto in relazione al rapporto tra i sessi: “la Modernità tende a sopprimere le differenze, di qualsiasi natura, a vantaggio di un modello omogeneo. Tale omogeneità risponde in primo luogo alle esigenze del capitale, cui occorre trasformare l’esistenza quotidiana in un immenso mercato, dove desideri e bisogni si somigliano”.
Il pamphletista Zemmour denuncia così l’uomo sottomesso all’ideologia dominante, il quale ha perso la sua autorità e autorevolezza all’interno del nucleo famigliare quanto in quello sociale. L’uomo ideale oggi? “Si depila. Fa incetta di prodotti di bellezza. Indossa gioielli. Crede fermamente ai valori femminili”, mentre la donna, ora integrata, più o meno, nel mercato del lavoro (forzato), cerca di emanciparsi anch’essa indossando i pantaloni e inseguendo il mito della donna in carriera, in stile Vanity Fair, senza però abbandonare il sentimentalismo di Sex and the City. Perché in fondo tutto ciò che è emotivo è propenso al consumo di notizie, immagini e prodotti. Il sesso femminile, nettamente più compulsivo di quello maschile come aveva fatto notare un secolo prima in Sesso e Carattere lo scrittore austriaco Otto Weininger, è di conseguenza più esposto alla civiltà dei consumi.
Torna a far scandalo tra le anime belle la ri-edizioni de “L’uomo maschio”. Ma le sue posizioni politicamente scorrette e “reazionarie” non avrebbero potuto avere successo in Francia se Zemmour non fosse un uomo raffinato e di vastissima cultura. Eric Zemmour è già stato definito Oltralpe come l’uomo del 2014 dopo l’uscita del suo ultimo saggio Le suicide français (Il suicidio francese) che ha venduto più di 400mila copie. L’editorialista di Le Figaro ricostruisce in cinquecento pagine la storia dell’egemonia politica sessantottina in un contesto che vede trionfare la globalizzazione e quindi la distruzione della cultura e dell’identità francese.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/come-il-femminismo-divenne-ancella-del-capitalismo/
Come il femminismo divenne ancella del capitalismo
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di Nancy Fraser, The Guardian, traduzione da quaderni.sanprecario.info
Come femminista ho sempre pensato che, combattendo per l’emancipazione delle donne, stavo anche costruendo un mondo migliore – più egualitario, più giusto, più libero. Ultimamente ho cominciato a temere che gli ideali ai quali le femministe hanno aperto la strada vengano utilizzati per scopi molto diversi. Mi preoccupa, in particolare, che la nostra critica del sessismo fornisca oggi giustificazione a nuove forme di disuguaglianza e di sfruttamento.
Quasi fosse un crudele scherzo del destino, il movimento per la liberazione delle donne sembra essersi avviluppato in una relazione pericolosa con gli sforzi neoliberisti nel costruire la società del libero mercato. Questo potrebbe spiegare perché una serie di idee femministe, che un tempo facevano parte di una visione del mondo radicale, oggi vengono utilizzate a fini individualistici. In passato, le femministe criticavano una società dove si promuoveva il carrierismo, adesso viene consigliato alle donne di “affidarsi”. Il movimento delle donne una volta aveva come priorità la solidarietà sociale, oggi festeggia le imprenditrici. La prospettiva di allora valorizzava la “cura” e l’interdipendenza umana, ora incoraggia il progresso individuale e la meritocrazia.
Ciò che si nasconde dietro tutto questo è un cambiamento di rotta del paradigma capitalista. Il capitalismo stato-assistito del dopoguerra ha lasciato il posto a una forma innovativa di capitalismo, “disorganizzato”, globalizzato, neoliberista. La seconda ondata del femminismo è emersa come critica al capitalismo di prima maniera, ma infine è diventata ancella del capitalismo contemporaneo.
Con il senno di poi, possiamo sostenere che il movimento di liberazione delle donne ha contemporaneamente puntato a due diversi futuri possibili. In un primo scenario, esso ha disegnato un mondo in cui l’emancipazione di genere andava di pari passo con la democrazia partecipativa e la solidarietà sociale; nel secondo , ha promesso nuove forme di liberalismo, in grado di garantire alle donne, così come agli uomini, i “beni” dell’autonomia individuale, un ampliamento delle scelte , l’avanzamento meritocratico. Il femminismo di “seconda generazione” è stato, insomma, ambiguo in questo senso. Compatibile con entrambe le rappresentazioni della società, dunque suscettibile di due diverse concezioni della storia.
A mio parere, questa ambivalenza del femminismo in questi ultimi anni si è risolta a favore della seconda impostazione, quella liberista-individualista. Ma non perché noi donne siamo state vittime passive di seduzioni neoliberiste. Al contrario, noi stesse abbiamo direttamente contribuito a far raggiungere al capitalismo questo stadio di sviluppo attraverso tre blocchi di idee importanti.
Il primo contributo è rappresentato dalla nostra critica al “salario familiare”: il modello del maschio breadwinner e della femmina casalinga è stato centrale per il capitalismo stato-assistito, così per come esso era organizzato. La critica femminista a quel modello ora aiuta a legittimare il “capitalismo flessibile”. Questa nuova forma organizzativa del capitale contemporaneo si basa molto sul lavoro femminile salariato, soprattutto a basso costo, nei servizi e nella manifattura , garantito non solo da giovani donne single, ma anche da donne sposate e donne con figli; non solo da donne razzializzate, ma da donne di tutte le nazionalità ed etnie. Le donne si sono riversate nel mercato del lavoro globalizzato e il modello del capitalismo stato-assistito basato sul “salario familiare” è stato sostituito da una nuova e più moderna “norma” – apparentemente approvata dal femminismo: quella di una famiglia con due percettori di reddito.
Non importa che la realtà che sta alla base di questo nuovo paradigma sia il basso livello dei salariali, la riduzione della sicurezza del lavoro, il peggioramento degli standard di vita, un forte aumento del numero delle ore lavorate per garantire un reddito al ménage, l’allargamento di doppi – quando non tripli o quadrupli – ruoli e un aumento della povertà , sempre più concentrata sulle donne capofamiglia. Il neoliberismo trasforma un orecchio di scrofa in una borsa di seta, raccontandoci una storia di empowerment femminile. Si appella alla critica femminista del “salario familiare” per giustificare lo sfruttamento: sfrutta il sogno dell’emancipazione femminile come motore dell’accumulazione capitalistica.
Il femminismo ha anche fornito un secondo contributo all’ethos neoliberale. Nell’era del capitalismo di stato organizzato, abbiamo giustamente criticato una visione politica ristretta, così intensamente centrata sulla disuguaglianza di classe che non vi trovavano posto le ingiustizie “non economiche”, come per esempio la violenza domestica, la violenza sessuale e l’oppressione riproduttiva. Rifiutando l’economicismo e politicizzando “il personale”, le femministe hanno ampliato l’agenda politica generale, aggiungendo a essa il tema della costruzione gerarchica della differenza di genere. Il risultato avrebbe dovuto essere quello di espandere la lotta per la giustizia sociale, comprendendo sia gli elementi culturali che economici. Il risultato effettivo è stato invece una concentrazione estrema del femminismo sul tema dell’“identità di genere”, a scapito delle questioni che hanno a che vedere con il pane e con il burro. Vediamola peggio ancora: la svolta femminista verso una politica identitaria si è alleata fin troppo strettamente con un neoliberismo in crescita che non desiderava altro che reprimere ogni ricordo delle battaglie per l’uguaglianza sociale. In effetti, abbiamo assolutizzato la critica del sessismo culturale proprio nel momento in cui le circostanze avrebbero richiesto di raddoppiare l’attenzione intorno alla critica dell’economia politica.
Infine, il femminismo ha contribuito al neoliberismo con un terzo filone di pensiero: la critica al paternalismo dello stato sociale. Innegabilmente progressista nell’epoca del capitalismo di stato fordista, il giudizio negativo del femminismo è coinciso con la guerra del neoliberismo contro “lo stato balia” e i suoi più recenti cinici abbracci con le Ong. Un esempio significativo è rappresentato dal “microcredito”, il programma di piccoli prestiti bancari per le donne povere nel sud del mondo. Propagandato come un processo di potenziamento dal basso verso l’alto, alternativo a decisioni di vertice e alla burocrazia dei progetti statali, il microcredito è stato presentato come uno degli antidoti femministi alla povertà e alla sottomissione delle donne. In questo, ciò che è mancato è la consapevolezza di un’ulteriore coincidenza inquietante: il microcredito è fiorito proprio nel momento in cui gli stati abbandonavano gli impegni macro-strutturali per combattere la povertà, impegni che i prestiti su piccola scala non possono assolutamente sostituire. Anche in questo caso, quindi, l’ideale femminista è stato ripreso dal neoliberismo. Una prospettiva originariamente finalizzata a democratizzare lo stato, responsabilizzando i cittadini, viene impiegata ora per legittimare la mercificazione e il disgregarsi dello stato sociale.
In tutti questi casi, l’ambivalenza del femminismo si è risolta a favore di un (neo)individualismo liberista. Ma certamente l’altro lato di noi, cioè le prospettive rappresentate dal femminismo solidale, potrebbe essere ancora in vita. La crisi attuale offre la possibilità di ampliare ancora di più quell’impostazione, ricollegando il sogno di liberazione della donna con la visione di una società solidale. A tal fine, le femministe hanno bisogno di rompere la relazione pericolosa con il neoliberismo, recuperando ai propri fini i tre “contributi” di cui abbiamo parlato.
In primo luogo, si dovrebbe rompere il falso legame tra la nostra critica al “salario familiare” e ciò che sono diventati gli attuali approdi del capitalismo del lavoro precario, combattendo per una forma di vita che non metta al centro il lavoro di scambio ma valorizzi le attività che producono valore d’uso, tra cui – ma non solo – il lavoro di cura. In secondo luogo, dovremmo fermare lo scivolamento della critica all’economicismo verso una politica identitaria, implementando la lotta per trasformare l’ordine del discorso fondato su valori culturali patriarcali con la lotta per la giustizia economica. Infine, sarebbe necessario recidere il legame tra la critica alla statalizzazione e al fondamentalismo del libero mercato, recuperando il concetto di democrazia partecipativa come un mezzo per rafforzare i poteri pubblici necessari a vincolare il capitale a finalità di giustizia.
(18 ottobre 2013)
http://pensareliberi.com/2015/06/12/capitalismo-e-le-sue-creature-dal-nazi-femminismo-al-nazi-omosessualismo/
Molti credono che il femminismo, nonostante il nome, rivendichi equità fra donne ed uomini. Altri credevano che il nazismo rivendicasse equità per i tedeschi, e che i progetti di distruzione che Hitler aveva esposto nel Mein Kampf fossero solo provocazioni. Dietro la difesa dei giusti diritti di donne e tedeschi, si nasconde ben altro. Questo il Mein Kampf del femminismo:
«La famiglia nucleare dev’essere distrutta… qualunque sia il significato finale, lo sfascio delle famiglie è adesso un processo obiettivamente rivoluzionario». Linda Gordon
«Dal momento che il matrimonio costituisce una schiavitù per le donne, è chiaro che il Movimento delle Donne debba concentrarsi per attaccare questa istituzione. La libertà per le donne non potrà essere acquisita finché il matrimonio non verrà abolito». Sheila Cronan
«Affinché i bambini vengano cresciuti con parità, dobbiamo portarli via dalle famiglie e crescerli in comuni appositi». Mary Jo Bane.
«La cosa più misericordiosa che una famiglia numerosa possa fare ad uno dei suoi bambini più piccoli è ucciderlo». Margaret Sanger, in “Donne la nuova razza”,
«Non si dovrebbe permettere a nessuna donna di stare a casa ed accudire i suoi bambini. Le donne non devono avere questa possibilità, perché altrimenti troppe donne la sceglierebbero». Simone de Beauvoir
«Essere una casalinga è una professione illegittima. La scelta di servire ed essere protetta, e di pianificare una vita familiare è una scelta che non dovrebbe esistere. Il cuore del femminismo radicale è di cambiare tutto ciò». Vivian Gornick.
«Non possiamo distruggere le iniquità fra gli uomini e le donne finché non distruggeremo il matrimonio». Robin Morgan (Sisterhood Is Powerful).
«Sotto il patriarcato ogni donna è una vittima, del passato, del presente e del futuro. Sotto il patriarcato, la figlia di ogni donna è una vittima, del passato, del presente e del futuro. Sotto il patriarcato il figlio di ogni donna è il suo potenziale traditore e anche l’inevitabile stupratore o violentatore di un’altra donna». Andrea Dworkin
«Il matrimonio è da sempre esistito per il beneficio degli uomini; ed è stato un metodo legalmente sanzionato per controllare le donne… Dobbiamo distruggerlo. La fine dell’istituzione del matrimonio è una condizione necessaria per la liberazione delle donne. È per noi quindi importante incoraggiare le donne a lasciare i loro mariti e non vivere da sole con gli uomini… Tutta la storia dovrà essere riscritta in termini di oppressione delle donne» dalla “Dichiarazione di Femminismo”.
«Qualsiasi rapporto sessuale, anche il sesso consensuale all’interno del matrimonio, è un atto di violenza perpetrato contro una donna». Catherine MacKinnon
«L’unica cosa di cui un bambino ha davvero bisogno, i suoi genitori assieme sotto lo stesso tetto, viene minata dall’ideologia che dice di difendere i diritti delle donne». Erin Pizzey, fondatrice dei centri anti-violenza.
«A voler ignorare sistematicamente la violenza ed il potere delle donne, a proclamarle sempre oppresse e quindi innocenti, si dipinge una umanità divisa in due che non corrisponde alla verità». Élisabeth Badinter
«Il femminismo americano è il movimento neo-Marxista più influente in America, se non il più estremo. Ha demolito la famiglia americana così come il comunismo demolì l’economia russa, e la maggior parte del danno è irreversibile». Ruth Wisse, professoressa ad Harvard.
L’omosessualismo, d’altro canto, è una ideologia relativamente nuova. Se il tempo ci ha dato la possibilità di comprendere quali sino gli inganni dell’ideologia femminista, tanto che sempre più donne oggi criticano e si oppongono tale ideologia, non ci rimane che attendere il giusto tempo per poter trarre conclusioni di carattere sociale e umano sulla neonata creatura capitalista che viene definita da alcuni “teoria gender” e da altri con il neologismo “omosessualismo”. Quel che è certo è che il capitalismo, e la derivante società di consumi, ha interesse a deframmentare i nuclei familiari e a distorcere la natura umana… in fondo l’umanità è l’humus grazie al quale le grandi multinazionali coltivano i loro capitali. Se il terreno viene coltivato in modo naturale i suoi prodotti saranno di buona qualità, ma non sufficientemente abbondanti. Per aumentare la quantità del raccolto (del capitale) è necessario coltivare eludendo i limiti naturali.
http://www.pierolaporta.it/family-day-prof-de-raglia/
HuffingtonpostOdio sul Family Day. Il prof de-raglia sui dati oggettivi. Il Fuffington Post dà fiato ai tromboni. [more…] →
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